SANTUARIO DELLE DIVINITA' ORIENTALI

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Piccola cavea del teatro di pertinenza al Santuario. Le gradinate prossime al piano dell’orchestra vengono a trovarsi spesso immerse nell’acqua, tuttavia risultano discretamente conservate e presentano soltanto modeste sconnessioni e tracce di erosione e sfaldamento delle superficie dei blocchi calcarei. Alcuni sedili sono distaccati.

Lungo la moderna via Elorina di Siracusa è ubicato un sito archeologico poco visitato e poco conosciuto: si tratta del cosiddetto Ginnasio Romano, appellativo erroneamente attribuito quando venne scoperto per la prima volta, perché identificato con quello menzionato dalle fonti, esistente vicino all’agorà. Indagato e pubblicato dallo Schubring nel 1865, non ha ricevuto sino ad oggi l’attenzione e la divulgazione che merita. L’interesse per questa zona si è riaccesa, da parte dell’archeologia ufficiale, soltanto nella metà degli anni ’90 del XX secolo, grazie allo scavo condotto da Lorenzo Guzzardi nell’area prossima alla Piazza Stazione, ad ovest del complesso monumentale in esame. Nella parte più a sud di quest’area sono venuti alla luce un muro e resti del crollo di un tetto, datati al periodo tardo-romano; l’esistenza di una falda freatica non ha facilitato il lavoro né ha permesso ulteriori approfondimenti. Ampi tratti murari di ambienti probabilmente identificabili come magazzini, cronologicamente inquadrati nello stesso periodo, sono stati scoperti durante la stessa campagna di scavo. All’ingresso del cosiddetto Ginnasio Romano (identificato anche come Timoleonteon), da poco tempo, è comparsa una nuova tabella che ci informa che si tratta di "un piccolo teatro romano"; tale definizione non ci soddisfa appieno e ci sembra, anzi, che sminuisca tutto il complesso edilizio dal momento che il teatro, se di teatro si tratta, non è che uno degli elementi che lo compongono. L’ingresso attuale, nell’angolo sud, non è quello originario che doveva, invece, aprirsi lungo il versante est come il rinvenimento di un frontone marmoreo lascia supporre. Quello che il visitatore probabilmente non riesce subito a cogliere e che, entrando si è già all’interno di una corte oggi interessata da un manto erboso messo a prato, circondata da un quadriportico di cui, purtroppo rimane solo il tratto nord che si affacciava sull’antica elorine odòs (via Elorina), di cui rimangono tracce incassate tra il portico e un muro parallelo. I portici erano sopraelevati di m 1,80 e ognuno di essi misurava più di m 50. Una scala ne permetteva l’accesso. Si consiglia di portasi verso il lato ovest e quindi si perverrà in prossimità della parte superstite della cavea di un piccolo teatro del diametro di m 18,90. L’edificio era interamente costruito in artificiale per mezzo di blocchi di calcarenite locale bianca, rivestiti da lastre marmoree. Esso era composto in origine da 4 cunei; indivisa è la proedria, cioè i sedili riservati alle autorità. Si conservano solo 5 sedili della cavea inferiore. Un tratto dell’analemma (muro di contenimento), anch’esso in blocchi di calcarenite, insiste sul portico. Il piano dell’orchestra (in origine pavimentato con marmi policromi), si presenta costantemente colmo d’acqua, venendosi a trovare in una zona di depressione interessata anche dalla falda freatica già menzionata. L’edificio scenico si eleva su pianta rettangolare e di esso ci rimane solo la base. Era addossato alla parete nord-ovest del tempietto con cui, quindi, faceva corpo unico. La scaena frons (fronte-scena) doveva essere architettonicamente realizzata e fornita di un buon apparato scultoreo. Le maestranze locali dovettero lavorare in sinergia con altre di origine microasiatica, come l’impiego di marmi orientali, quali il proconnesio e i tasio, unitamente ai materiali locali, lascerebbe ragionevolmente supporre. La costruzione quadrata, su cui si addossa la scaena frons, è elevata su un podio ed è accessibile per mezzo di scale; viene interpretata come un tempio di tipo italico orientato est-ovest e contornato da colonne con capitelli corinzi, che sostenevano la trabeazione. Il Tempio di Iside a Pompei è il confronto più diretto. L’altare è posizionato pochi metri ad est, davanti al tempio. Singolare la presenza di un pozzo nel suo interno e un altro al di fuori del portico est. La datazione complessiva del complesso edilizio è compresa tra la fase ellenistica e quella romana (fine II sec. a.C./inizi I sec. a.C.- seconda metà del I d.C.). Allo stato attuale degli studi, non è possibile né interpretare, né immaginare l’originaria collocazione dei numerosi elementi architettonici e scultori erratici (frammenti di colonne, capitelli, mensole, cornici, sculture…), che sono adagiati qua e là nell’area archeologica messa a prato. Gli elementi di trabeazione, di architrave, del soffitto a cassettoni romboidali e rettangolari, potrebbero appartenere al tempietto. Da questa breve descrizione si evince la particolare connotazione di questo complesso architettonico che, nella sua originaria strutturazione, era improntato a grande monumentalità e doveva lasciare stupito il visitatore che salendo dal piano di calpestio del percorso porticato, avrebbe potuto apprezzare il tempietto posto nella zona centrale e dotato di un apparato scultoreo non indifferente. Numerose sculture arricchivano e animavano i portici, come riportato dalle fonti antiche e documentato dal rinvenimento di alcune di esse (soprattutto durante gli scavi del 1864). Lungo il portico est, ad esempio, sono ancora visibili le basi di tre statue. Esposti nel vecchio museo nazionale, sottratti alla pubblica fruizione per tanti anni, tornano a fare bella mostra di sé nel settore D (inaugurato nel 2006) del Museo Archeologico regionale Paolo Orsi, due notevoli esempi della statuaria romana che provengono dal nostro monumento. Si tratta di una statua marmorea femminile di grandi dimensioni ( ), il cui volto rivela intenti ritrattistici e che forse aveva carattere funerario. E’ datata all’età flavia o traianea (I- II secolo). Poco distante, si può ammirare, un’altra statua marmorea, che rappresenta un magistrato romano: il suo equipaggiamento consiste della toga e, poggiata alla sua sinistra, una singolare capsa o scrinium, praticamente la valigetta porta-documenti dei nostri avvocati contemporanei. Si tratta di una valigetta con serratura rettangolare e con il manico costituito da una cinghia (età adrianea, 130-140 d.C.). Sappiamo da Cicerone che nel vestibolo antistante il tempio erano state posizionate statue del pretore Verre, successivamente asportate. Questa informazione coincide con la nota collocazione di statue di magistrati romani nei santuari dedicati al dio Se rapide. Sappiamo anche, da un’iscrizione dedicatoria, di un cittadino romano di nome Papinio, flamine di Serapide e Iside. Questo medesimo personaggio, cavaliere particolarmente facoltoso, è ricordato da Cicerone tra le vittime di Verre, che gli aveva sottratto l’emblema argenteo di un turibolo. Scartata ormai la sua identificazione come Ginnasio Romano (identificato in alcuni resti a Santa Panagia), come Timoleonteion (Diodoro Siculo ne indicava l’esistenza nel quartiere Tycha e non in Akradina), considerando gli elementi architettonici che lo compongono –tempio su podio, portico sopraelevato, teatro, tipici dei santuari legati a culti provenienti dall’Egitto e diffusi in Italia – si potrebbe accettare l’identificazione di un Santuario delle divinità orientali, come è stato supposto da più studiosi. Il problema più arduo è l’identificazione del culto che, più che alla dea Syria supportata soltanto da un’epigrafe in greco andata perduta e trascritta in latino di un erudito del XVIII secolo, ci sembrerebbe riferirsi al dio Serapide. Cicerone, il quale com’è noto dimorò più volte a Siracusa fin dal 75 a.C. e ci lascia la più precisa descrizione antica della città, in un noto passo delle Verrine (lib. II, 66,160), ci attesta il culto di Serapide e cita l’esistenza di un Serapeum come di locus celeberrimus ac religiosissimus, non distante dal foro. Ci viene in soccorso la scoperta, non lontano, di una iscrizione con dedica a Serapide che ci rafforza la convinzione che sia questa la divinità cui è dedicato l’intero complesso. Numerosi rinvenimenti archeologici esposti nel Museo Archeologico Regionale Paolo Orsi,ci attestano il culto di Serapide a Siracusa come, ad esempio, un fondo di coppa con medaglione a rilievo che raffigura il busto di Iside e Se rapide da Akradina (ex- Giardino Spagna) della fine III-inizi II sec. a.C.; una coppa frammentaria a vernice nera con medaglione a rilievo (anch’essa con busto di Iside e Serapide) dello stesso periodo (settore D, reperti n° 13 e n° 14, vetrina 318). E’ esposta nello stesso settore proveniente da Piazza Pancali, una copia romana in marmo pario con tracce di policromia, di un originale ellenistico di una statua di Serapide-Hades con Cerbero, del II secolo. Il dio si presenta stante e indossa l’himation (mantello) e probabilmente reggeva, con la destra lo scettro e con la sinistra portava al petto la cornucopia, non più in posto. Sulla testa c’è la traccia di attacco del modio, il tipico copricapo del dio. Cerbero, il cane dalle tre teste, sta ai suoi piedi. Rimangono discretamente conservate le teste di cane e di lupo, lacunosa invece quella di leone. L’introduzione di culti orientali a Siracusa in fase ellenistica che coincide con la datazione più antica del Santuario, la vicinanza al foro (solo 200 metri) sottolineata da Cicerone, la sua ubicazione lungo la via Elorina, asse viario importante di collegamento verso sud, sono indizi a favore di questa teoria che ci conferma l’importanza di Siracusa anche nella fase romana di età imperiale. Il quartiere Akradina, ove si trova il complesso in esame, ebbe lunga vita come testimoniato dagli edifici del periodo romano e tardo-romano, collocandosi in una zona a diretto contatto con le attività portuali e quindi economiche e commerciali. Il rinvenimento di strutture identificabili come magazzini ad ovest del Santuario delle divinità orientali, rappresenterebbe la tessera conclusiva di questo mosaico per lo più sconosciuto e che meriterebbe, invece, la massima divulgazione. Non pochi sono dunque, i problemi che pone questo "Santuario" e sarebbe d’obbligo intraprendere una ricerca archeologica per arrivare ad una loro soluzione. L’etimologia del nome Serapide si fa risalire ad Osiride-Apis=Osirapis, Serapis. Divinità risultante da un sincretismo dell’egizio Osiride-Apis col greco Zeus-Hades e onorata particolarmente ad Alessandria. Le origini di questo culto, che appare come una delle più geniali creazioni politico-religiose dei primi Tolomei, sono incerte e affidate a notizie favolose e contraddittorie riferite dalle fonti antiche" (da E.A.A.). I dati di scavo permettono di attribuire a Tolomeo III (264-221) l’edificazione (o una ricostruzione?) del tempio dedicato al dio ad Alessandria. Il simulacro di Serapide sarebbe stato trasportato ad Alessandria , secondo alcuni da Sinope, secondo altri da Seleucia e, ancora, da Babilonia o da Menfi. Secondo un’altra versione, poi, la statua si trovava già a Rhakotis, il sobborgo di Alessandria, ove poi sorse il Serapeo, ai tempi di Alessandro. Il simulacro di Serapide, commissionato da Sesostris, sarebbe stato realizzato da Bryaxis, che avrebbe utilizzato ben sei metalli e tutte le pietre preziose d’Egitto unitamente alle ceneri di Osiride e Apis. Numerose rielaborazioni del tipo della statua, di età romana, sono custodite in vari musei del mondo, dal Cairo sino a Baltimora. Una lunga serie di opere cosiddette minori, come monete, pietre incise, cammei, rilievi, lampade, suppellettili, inoltre, ci possono fare risalire al tipo della statua originaria. 7