IL COLOSSEO DI SIRACUSA

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Anfiteatro di Siracusa, denominato colosseo ed anche fossa dei granati (melograni) sino agli inizi del XX secolo. Poteva ospitare 15.000 spettatori ed è datato al I secolo, con ampliamenti e rifacimenti sino al III/IV secolo. La sua maestosità conferma una fase romana della città sicuramente più importante di quanto non si sia soliti considerarla.

L’anfiteatro di Siracusa, denominato sino agli inizi del XX secolo fossa dei granati (per le probabili colture di melograni) ed anche colosseo, come il ben più famoso di Roma, è il più grande di Sicilia ed uno dei più grandi del mondo romano, ma è allo stesso tempo uno dei più sconosciuti. Stupore e meraviglia colgono il visitatore straniero ed italiano nell’apprendere che la sua cavea è stata in parte scalpellata nella roccia e in parte costruita su terrapieno, nonché costruita in artificiale raggiungendo un’altezza di 30 metri dalla quota dell’arena. A causa delle despoliazioni operate dagli spagnoli a partire dal XVI secolo a beneficio dell’elevazione delle mura ortigiane (antico sistema di “riciclaggio”), oggi ci rimane molto meno della metà dell’edificio che, con gallerie coperte, rampe, corridoio a cielo aperto (diazoma) e spiazzi antistanti agli ingressi, ci fornisce l’idea di uno straordinario anfiteatro che aveva in origine una capienza di 15.000 spettatori. Ed era anche provvisto di telone di copertura (velarium) sulla cavea, come indizi archeologici lasciano supporre. Gli spettatori venivano invogliati ad andare ad assistere ai “giochi”, con volantini che pubblicizzavano l’esistenza di questo dispositivo. L’elìte romana di Siracusa prendeva posto nei sedili marmorei collocati prossimi all’arena, come provato dalle iscrizioni che recano i nomi di numerose famiglie nobiliari: posti riservati a vita! I cavalli potevano intanto rifocillarsi nell’abbeveratoio ubicato nell’ippoparco all’ingresso principale a sud (oggi lungo il viale Paolo Orsi), vero e proprio parcheggio per carrozze e relative “forze motrici”, in attesa della fine dei giochi. I gladiatori deambulavano nella galleria che corre sotto i posti vip e accedevano all’arena dalle aperture lungo il parapetto (vomitoria). La sabbia (in latino arena), che dà il nome alla pista da combattimento, veniva messa abbondantemente per assorbire il sangue sia dei lottatori che degli animali durante le cacce. La grande botola al centro era coperta da un impiantito di legno semovente che, sollevato all’occorrenza, faceva balzare improvvisamente gli animali di fronte ai cacciatori! La folla andava in visibilio e sappiamo che l’atmosfera poteva surriscaldarsi a tal punto fino a degenerare in vera e propria guerriglia come raccontato dall’annalista romano Tacito. Nell’anno 59, nocerini e pompeiani si ritrovarono come spettatori all’anfiteatro di Pompei. L’episodio è rappresentato nell’affresco che, proveniente dalla Casa del Gladiatore di Pompei, è esposto al museo di Napoli (vedi articolo successivo).